L' Italia e l'elettrico. Quanto siamo in ritardo?
In Europa non si venderanno più auto con motore endotermico dal 2035. Ci candidiamo così a essere il primo mercato al mondo per l’auto elettrica. Un cambiamento che comporterà investimenti miliardari per avviare produzioni di batterie, attrezzare il territorio con le colonnine di ricarica ma sopratutto aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili.Con questa trasformazione si perderanno 70 mila posti di lavoro!!
Cosa stiamo facendo per spostare, o creare occupazione nella settore emergente?
Partiamo dalle proiezioni di crescita: I veicoli elettrici circolanti oggi nel nostro Paese sono meno di 300 mila, e diventeranno 19 milioni entro il 2050. Si stima che per caricare 19 milioni di auto elettriche serviranno 32 TWh, con un’incidenza del 5% sul totale dei consumi di energia del Paese. Il peso delle auto elettriche dunque non sarà troppo oneroso, il vero punto è che per reggere la transizione occorrerà raddoppiare la disponibilità di energia, in quanto tutto funzionerà con la corrente. E se vogliamo che le auto elettriche siano davvero a emissioni zero vanno alimentate con energia da fonti rinnovabili. Oggi il nostro mix energetico è tra i migliori in Europa con il 38% dell’energia che viene da fonti rinnovabili, ma per arrivare al 72% al 2030, è cruciale attuare da subito i piani del Mite.
Se pensiamo alla rete la stessa deve essere in grado di reggere nella giornata i momenti di maggior di assorbimento. Oggi abbiamo picchi giornalieri intorno ai 55 gigawatt. Con 19 milioni di auto elettriche dovremo sostenere picchi ben più alti. e bisognerà trovare il modo di stoccare l’energia prodotta dalle rinnovabili per tirarla fuori quando serve. Si sta cercando di rendere intelligente la ricarica programmandola entro una certa ora, con l’auto che gestisce l’assorbimento: nei momenti di picco rallenta il prelievo, oppure cede energia per riprenderla dopo. Ma è una tecnologia che sta ancora muovendo i primi passi.
Spostando l'attenzione sulle colonnine oggi abbiamo 26 mila punti di ricarica, nel 2030 si prevede di arrivare a oltre 3 milioni di punti privati. In particolare, a quelli oggi esistenti se ne aggiungeranno 21 mila finanziati con 740 milioni del Pnrr che serviranno a coprire a fondo perduto il 40% dell’investimento. Soldi da spendere entro il 2025, altrimenti li perdiamo. Eppure la creazione della rete delle colonnine procede a rilento. Questo perché:
1 – Manca ancora una mappa nazionale dei punti di ricarica pubblici.
2- Oggi può succedere di collegarsi a una colonnina che non ti ricarica l’auto perché appartiene a un operatore diverso da quello con cui hai fatto l’abbonamento. È indispensabile che gli operatori facciano accordi di interoperabilità.
3 – Chi installa colonnine deve chiedere l’autorizzazione al Comune, ma i Comuni sono 8.000. Talvolta capita persino che ven- gano previste dove la corrente non arriva. Infatti circa il 13% delle infrastrutture installate oggi non è utilizzabile.
4- Sulle autostrade le infrastrutture di ricarica oggi sono solo 90. Una norma del 2018 prevede una colonnina ogni 50 chilometri, quindi 117 da installare entro il 2023. Nessun concessionario però sta procedendo tramite gara.
5 – I condomini: installare una colonnina di ricarica nelle aree comuni o nei garage è ancora molto complicato.
Un dato è però eloquente: Oggi il 70% delle batterie (che sono il 40% del valore aggiunto di un auto elettrica) sono prodotte in Asia!! Il nuovo mercato delle batterie nell’Unione europea è valutato in 250 miliardi di euro l’anno dal 2025 e si stima che il raggiungimento di una capacità produttiva di 740 GWh possa portare a più di 60 mila nuovi posti di lavoro. In Europa la parte del leone la fa la Germania, Bene stanno facendo Polonia e Ungheria che riescono ad attrarre investimenti anche da parte dei produttori asiatici.
E ... l' Italia? tra politiche industriali confuse e ritardi burocratici, l’unica certezza sono gli 8 GWh che sta cercando di installare Seri Industrial. Ma non si tratta di batterie per le auto, bensì per lo storage di energia domestico, industriale e per il trasporto pubblico. Al momento i dipendenti sono 120 e si intende arrivare a 800 entro il 2024. Ce poi il dossier Italvolt a Ivrea che sulla carte prevede 3,4 miliardi di investimenti, fino a 70 GWh l’anno, 2024 inizio produzione, 3.000 posti di lavoro. Al momento però non è ancora chiaro chi ci mette i soldi e chi comprerà le batterie prodotte. Sulla carta anche Fincantieri progetta la realizzazione di una gigafabbrica per fare batterie al litio per auto, autobus e veicoli commerciali elettrici di nuova generazione.
Intanto il tempo passa
«Mettete in campo politiche industriali per aiutare la riconversione!» urlano da più parti. Questo vorrebbe dire trovare meccanismi per finanziare gli investimenti. Trasformare una fabbrica di carburatori diesel in una che produce moto elettriche richiede grandi capitali, che in Italia si fa fatica a trovare. Gli imprenditori per non chiudere devono darsi da fare da soli, e senza sapere qual è la strategia Paese sul lungo periodo.
In concreto stiamo mettendo un miliardo di euro nella rottamazione delle vecchie auto, ma una visione sul futuro dell’automotive, non c’è. Sappiamo che si perderanno tanti posti di lavoro, e non abbiamo idea di come crearne di nuovi, nonostante le potenzialità epocali della transizione.
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